di Giulia Abbate
“Non c’è bisogno di combattere questo tiranno, di toglierlo di mezzo; egli viene meno da solo, basta che il popolo non acconsenta più a servirlo. Non si tratta di sottrargli qualcosa, ma di non attribuirgli niente; non c’è bisogno che il paese si sforzi di fare qualcosa per il proprio bene, è sufficiente che non faccia nulla a proprio danno.”
Etiènne de La Boétie, “Discorso sulla servitù volontaria”
Abbiamo vissuto due anni di “politiche pandemiche”: due anni in cui il governo, con rimescolanze di partiti e maggioranze e scarsa o nulla opposizione, ha affrontato un serio problema sanitario con imposizioni, brutalità, confusione e mai con la discussione democratica.
Il problema sanitario legato al Covid19 è stato prima sottovalutato, poi usato come stendardo in una “guerra al virus”, in cui la prima vittima, come in tutte le guerre, è stata la verità. Dopo di lei è caduto il diritto, nel nome di una dichiarata tecnocrazia in cui solo l’esperto governativo ha titolo di decidere, di parlare e di imporre.
Ma dove c’è strage di diritto c’è strage di popoli, lo diceva Marco Pannella e lo abbiamo ben vissuto in questi due anni: a colpi di decreti il governo ha disatteso la legge, violato la Costituzione e compromesso gravemente le nostre vite.
Molto è stato fatto per dividere, accusare, tacitare, terrorizzare, spezzare, nascondere, confondere, comandare, criminalizzare, imporre.
Poco o nulla è stato fatto per curare, confortare, rinforzare, cercare strade, confrontare soluzioni, rimediare a criticità già presenti nel sistema.
Anzi, la cosiddetta “emergenza” è stata usata come scusa e strumento per proseguire con le stesse storture che già pesavano sul nostro sistema, a vantaggio di pochi già ampiamente favoriti dalla struttura sociale: i grandi industriali, i ricchi appaltatori, l’intellighenzia mainstream ghiotta di prebende, le grandi distribuzioni organizzate e i meganegozi online, i grandi ospedali, i signori della sanità e delle infrastrutture.
Alla società non è stata data cura, ma terrore. Alle persone spaventate non è stato dato conforto, ma più terrore ancora. Chi ha fatto domande è stato offeso, vilipeso, tacitato, radiato, dileggiato. Chi si è ammalato è stato lasciato solo, dentro casa o nel gelo di una tardiva terapia intensiva, senza cure tempestive, né conforto dai propri cari nel ricovero, né degno funerale in caso di morte. Chi ha agito per il meglio, come i tanti medici e mediche che hanno prestato cure domiciliari, è stato oggetto di un vero bullismo governativo. Chi ha protestato è stato criminalizzato e dipinto come disertore, nemico, assassino, untore, e indicato come colpevole di tutti i fallimenti imputabili invece al governo.
Oggi siamo al punto in cui chi è sano è sospetto, chi è malato è colpevole, e tutte e tutti, sani e malati, siamo divisi e assoggettati da una nuova apartheid.
Questo governo tracotante non ha governato nulla, piuttosto ha brutalizzato il nostro paese. Non c’è stata una gestione dell’emergenza, piuttosto la sua impugnazione a mo’ di corpo contundente, al fine di ottenere mero dominio.
È il potere il patogeno più pericoloso, che ci sta uccidendo e che sta gravemente compromettendo la salute e la vita delle generazioni più giovani.
Da cittadine e cittadini, riteniamo che la nostra vigile attesa sia durata anche troppo. E sappiamo che di fronte a questa stupefacente e virulentissima infezione del diritto, gli unici e più validi anticorpi sono i nostri stessi corpi.
Ritiriamo quindi il consenso a un governo che ha violato i diritti e il Diritto e che continua a mentire e a servirsi del caos per negarci cure e Cura.
Ci uniamo in comitato e ci diamo nome Resistenza Radicale. Esprimiamo cioè la nostra volontà di Resistenza, e indichiamo la strada Radicale per metterla in atto: disobbediremo a tutto e in ogni modo, ci rifiuteremo di collaborare con questo potere, metteremo i nostri corpi tra i denti degli ingranaggi, chiamando la società tutta alla stessa resistenza e alla disobbedienza civile e nonviolenta, ferma e totale.
Per strumento ci diamo la nonviolenza gandhiana e pannelliana. Per scopo: l’abolizione totale del “green pass”, la libertà di scelta vaccinale, la fine dello stato di emergenza, l’indizione di libere elezioni.
Poi ci sarà ancora da fare: saremo tutti e tutte chiamate alla condivisione collettiva di una cura delle ferite inferteci dal governo.
Ci metteremo a disposizione, e lo siamo sin da ora, nella formazione politica nonviolenta, a vantaggio di chiunque vorrà beneficiarne. Così, se una nuova “epidemia di dominio” dovesse profilarsi in futuro, la società che avremo costruito avrà nuove e più forti difese immunitarie, e ritirerà da subito la sua collaborazione a qualsiasi tentativo virulento di indebolire le nostre libertà.
Il nostro orizzonte, insomma, non è certo una “nuova normalità” che ha il sapore disgustoso di uno spot plastificato. Ma è un futuro gioioso, in cui potremo lenire le spaccature provocate dal potere nel corpo sociale, e guarire insieme: portarci in una nuova condizione di benessere e salute, che non sia solo assenza di una specifica malattia, ma pieno riconoscimento delle differenze, e che sia giustizia, diritti, comunanza, felicità.
“Non si può fare la rivoluzione. Si può solo essere la rivoluzione.”
Ursula K. Le Guin
Giulia Abbate
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