Deborah è al quarto giorno di sciopero della fame, in supporto all’iniziativa di massa per resistere alle imposizioni sanitarie e alle leggi inique che ci colpiscono. La ringraziamo per la sua azione, e per le sue parole che ci arricchiscono.


GIORNO 4
Oggi mi sento bene. Forse un pochino stanca, ma bene.
Ho fatto colazione con mio figlio, il pasto della giornata che preferisco in assoluto, lui con pane tostato fragrante, burro e marmellate, io con una tazza di the verde.
Pensavo peggio, davvero si può fare.
Poi a pranzo, lui un branzino croccante con patate al forno, io brodo di verdure con una cucchiaiata di passato di verdure (oggi lusso sfrenato!).
Vabbé.
Ma, ancora, si può fare.
Ho avuto uno scambio con un’amica che non la pensa come me.
Ha visto il mio post, mi ha scritto in WhatsApp, mi abbraccia, mi stima, ribadisce la sua fiducia nella puntura e tutto quello che la accompagna.
Io ci provo (non esattamente con queste parole): ok la puntura in generale, però io credo che dove c’è rischio ci debba essere anche la possibilità di scelta, quindi non accetto il lasciapassare. Ha portato grave discriminazione, angoscia e dolore e soprattutto frattura nella società.
Lei: si, ma ci sono anche persone che stanno lottando per sopravvivere, per una malattia, e che non possono fare la puntura. Deve essere la società a proteggerle, a fare da scudo…proprio perché inter-siamo.
FERMATI.
Si, fermati. Lo so già.
Se non la pensi così hai già trovato mille ragioni per obbiettare, Se la pensi così ha già trovato mille ragioni per supportare la sua visione.
Anche la mia testa è partita, per qualche minuto, si, però, si però…
Poi mi sono fermata. Non è così che può funzionare.
Le ho mandato un cuore e ho deciso di praticare un poco.
Inter-essere.
Cosa significa veramente inter-essere?
Come l’ha usato lei, mi è sembrato di capire, è: tu puoi capire la sofferenza dell’altro e, a partire da questa comprensione, è tuo dovere alleviarla.
Io penso: certo, io posso capire e sentire la sofferenza dell’altro, ma questo non significa che devo suicidarmi per l’altro (esagero, eh? ..o forse no…). Davvero questo sarebbe il Bene?
Però, davvero, mi fermo qui, perché non si tratta di ragionare sulla questione specifica, di fatto credo che sia un dilemma irrisolvibile usando la ragione.
Insomma, io non ho la risposta ma sicuramente cara amica ti ringrazio per avermi portato a riflettere su questo aspetto in una maniera più completa.
Mi è venuta in mente una storia che Thậy raccontava spesso durante i suoi ritiri ed è questa: abbiamo organizzato un ritiro con ragazzi che venivano dalla Palestina e ragazzi che venivano da Israele. All’inizio stavano separati e si guardavano con sospetto e rabbia. Poi hanno iniziato a praticare: la meditazione seduta, la meditazione camminata, la pratica dell’ascolto profondo.
Ognuno ha avuto la possibilità di raccontare la sua storia di dolore e morte, mentre l’altro ascoltava con compassione. Alla fine del ritiro molte ferite erano state guarite ed erano diventati un solo gruppo tanto che sono partiti con il progetto di creare dei centri di pratica nel loro paese.
Ho ascoltato questa storia per la prima volta dalla bocca di Thậy nel 2005. Mi è sembrato tutto molto bello e toccante ma in fondo, ripenso adesso, non ero in grado al tempo di rapportarmi realmente con una situazione di odio estremo, di guerra.
Non voglio certo paragonare la nostra situazione a quella israelo-palestiniana però una somiglianza c’è: per la prima volta (per noi che non abbiamo vissuto alcuna guerra) ci troviamo a vivere una situazione in cui c’è in gioco la VITA delle persone ed entrambe le parti pensano di fare la cosa giusta per proteggere sé e gli altri.
Non è così?
Allora per la prima volta ho capito con tristezza che la ferita che si è creata tra le persone è una ferita molto profonda, e che la ragionevolezza non ci aiuterà a guarirla.
Ci vorrà tanta pratica (ognuno a suo modo) e ascolto e soprattutto vero desiderio di guarigione PERSONALE prima di poter tentare di guarire la comunità.
Proprio come si fa con una ferita profonda, si dovranno cambiare tante bende e lavare e disinfettare la ferita tante volte.
Spero che sempre più persone capiscano questo e facciano i passi necessari; perché credo che questo sia uno dei significati profondi dell’inter-essere: la comprensione che l’altro è una parte di noi, così come il mio stomaco fa parte del mio corpo, e quindi non è possibile farne a meno.
Continuo il viaggio…-1!

La playlist di oggi: …non mi funziona Spotify, per cui spero di riuscire ad aggiungerla più tardi!