di Aligi Taschera – Resistenza Radicale

In data 19/11 ho visto sulla pagina facebook di una mia amica su facebook, che, nella vita reale conosco da circa 45 anni, il seguente post, che ho copiato e che incollo qui di seguito:

“Vorrei trovare un novax-nogreenpass che vedendo quello che sta succendo nei paesi vicini, aumento dei contaggi alle stelle, lockdown, vaccini obbligatori, mi spieghi con argomenti intelligenti perchè rifiuta di assumersi un dovere sociale.”

Nell’orribile linguaggio giornalistico sono sicuramente un “no green pass”; sul “no-vax” potrei aver qualcosa da ridire, ma dato che “no vax” è un’etichetta che la stampa e la televisione usano con una frequenza spropositata per qualificare chiunque si opponga alle politiche pandemiche dominanti da ormai 21 mesi, me la assumo senza esitare: dopo tutto non è che l’ultima delle innumerevoli etichette che mi sono state affibbiate nella mia, ormai lunga, vita.

Ho passato un piacevole fine settimana fuori Milano, ed ora ho deciso di risponderle.

Cara Xxxx, tralascio per il momento quello che sta succedendo nei paesi vicini (su cui ci sarebbe da discutere, ma per il momento non ho voglia di darmi ad una lunga e noiosa ricerca di dati, che annoierebbe te ed altri eventuali lettori), e vengo subito al sodo. Chiedi perché un “novax-no green pass” (io, dunque, per esempio) rifiuta di assumersi un dovere sociale. Ti sei dimenticata di dire quale dovere sociale mi rifiuterei (o ci rifiuteremmo) di assumermi. Se fosse possibile dialogare, te lo chiederei direttamente, ma visto che la maggior parte delle interazioni sociali sono state abolite, bisogna accontentarsi del web, che non è un mezzo adatto a sviluppare dialoghi. Perciò mi permetto di dire io quale dovere sociale rifiuterei di assumermi, secondo te: il dovere di fornirmi di un green pass e di portarlo con me, e il dovere di fare una delle cosiddette vaccinazioni contro il Sars-Cov2 prescritte in Italia. Penso di averci azzeccato. Ma ti sei dimenticata anche di chiarire un’altra cosa fondamentale: perché mai munirsi di un green pass e assumere un siero genico contro il Covid 19, comunemente detto vaccino sia da te considerato un dovere sociale. Attendo che tu mi fornisca qualche argomentazione razionale a sostegno della tesi che green pass e vaccino siano doveri sociali. Io non mi sottraggo affatto a quelli che secondo me sono doveri sociali; e l’unica cosa che posso fare per contribuire a chiarire perché io non riconosco il dovere sociale che tu invece sostieni è chiarirti quali sono i doveri sociali che io (e altri come me) riconosco e cerco di seguire.

Il primo dovere sociale che cerco di perseguire è la difesa del futuro: il dovere di fare quello che posso per contribuire ad assicurare all’umanità un futuro degno di essere vissuto: se non migliore della fase storica nella quale ho vissuto, almeno non peggiore.

Dal dovere di difendere il futuro discende immediatamente un altro dovere: difendere i bambini ed i giovani nel presente. Difendere i bambini ed i giovani dalle morti e dagli effetti avversi invalidanti del vaccino. Che saranno pure rari; ma secondo i dati Aifa i morti, in Italia, ammontano ora a 600 (quelli affetti da eventi avversi gravi sono molti di più), mentre dati israeliani e inglesi mostrano che la percentuale di miocarditi e pericarditi negli adolescenti maschi vaccinati è più di cinque volte superiore a quella degli adolescenti maschi non vaccinati. Ma capisco che qualcuno possa sostenere che 600 morti su presumibilmente 51.000.000 di vaccinati sono solo lo 0,001% della popolazione, che perciò, se qualche bambino o qualche adolescente ci lascia la pelle sono fatti suoi: val pur sempre la pena di lasciar morire qualche bambino e qualche adolescente per proteggere (quanto efficacemente lo mostrano i dati dei vaccinati ricoverati nelle terapie intensive) gli ultracinquantenni, e soprattutto gli ultrasettantenni, che, diversamente dai giovani e giovanissimi, corrono rischi non del tutto trascurabili. Invito chi lo sostiene ad andarlo a dire alla madre di qualche bambino o di qualche adolescente che ci ha lasciato la pelle.

Comunque, lasciando la sua convinzione a chi è convinto che valga la pena di sacrificare un po’ di bambini e di adolescenti per la salvezza della popolazione matura (o anche decrepita), e anche la convinzione che questa sia una morale superiore a quella dei “no vax”, passo a un altro dovere che io ho, e che per me discende dal primo: il dovere di proteggere non solo la vita e la salute fisica dei bambini e dei giovani, ma anche quello di difendere la loro salute mentale. Perché se è vero che il vaccino colpisce con la morte o con malattie invalidanti una percentuale esigua della popolazione, è altrettanto vero che le politiche pandemiche in atto da 21 mesi costituiscono una seria minaccia per la salute psichica dei bambini e degli adolescenti, che sono stati del tutto privati del piacere di vivere un’infanzia e un’adolescenza “normali”. E’ noto che, per lo meno nei paesi del mondo ricco, o “sviluppato” che dir si voglia, i suicidi tra gli adolescenti sono notevolmente aumentati da quando sono state imposte le politiche pandemiche dominanti. Perciò sento il dovere di proteggere i bambini dall’imposizione delle mascherine, che danneggiano le loro possibilità di riconoscimento delle emozioni e quindi l’apprendimento delle capacità di percezione interpersonale; proteggere la socialità, la gioia del contatto fisico, con tutta la comunicazione emotiva interpersonale che veicola; proteggere la libertà di incontrarsi e di fare esperienze nuove insieme.

Sento il dovere di proteggere il diritto (e i diritti fondamentali) dall’arbitrio del potente di turno (dal professore che si sente investito del nuovo sacro ruolo di vestale della mascherina, fino all’amministratore delegato – Ceo, per gli anglomani – della Pfizer o della Black Rock che la controlla); il dovere di proteggere la libertà, di proteggere le regole della democrazia da queste politiche pandemiche.

Sento il dovere di contribuire a proteggere la popolazione dalla diffusione delle varianti, che diventa sempre più probabile man mano che il “vaccino”, concepito per contrastare il ceppo originario, si diffonde; di contribuire a proteggere la popolazione dalle terze, quarte, quinte ed ennesime dosi, colla relativa moltiplicazione degli effetti avversi anche gravi; ma soprattutto proteggere la popolazione dal trasferimento ad ogni dose del denaro pubblico alle casse delle multinazionali private dei vaccini e delle finanziarie che le controllano, col relativo asservimento, attraverso i debiti, degli stati ad interessi privati.

Sento il dovere di proteggere il servizio sanitario dal continuo e dissennato definanziamento del sistema stesso da parte dei governi (37 miliardi in meno nel decennio 2011-2021, e altri 6 miliardi in meno programmati nei prossimi due anni, nonostante i prestiti dell’Unione Europea per l’emergenza pandemica). Proteggerlo dalla scelta dissennata di continuare a diminuirne i finanziamenti, rendendo difficoltosa (e anche ostacolando) la diffusione delle cure domiciliari per trasferire, mediante le vaccinazioni di massa, enormi quantità di denaro pubblico alle multinazionali del farmaco.

Certo, è possibile che per ottemperare a tutti questi doveri si debba pagare un prezzo. Non si direbbe, vedendo gli attuali dati sulla diffusione della pandemia in Svezia, che non ha adottato una politica di restrizioni. Non si direbbe, ma è comunque possibile che ci sia da pagare un prezzo, e che il prezzo sia una maggiore diffusione del virus.

Tra tre settimane circa compio 74 anni, e dunque sono un soggetto a rischio. Ma, passati i settant’anni, vale ben la pena di correre il rischio di ammalarsi ed eventualmente morire di Covid19, per salvaguardare la sopravvivenza economica delle attività più piccole e deboli, per salvaguardare la vita e la salute di tutti i giovani e i bambini, per salvaguardare il diritto di tutti alla socialità libera, al piacere di comunicare toccandosi, alla libertà, e soprattutto al futuro. Se dovessimo correre qualche rischio in più di ammalarci, o anche di morire, per salvare tutto questo, e tramandarlo al futuro, vorrà dire che la nostra vita sarà servita a qualche cosa. E sarebbe anche ora che, in questo orrendo rigurgito di autoritarismo che ci sovrasta, invece di dare per scontato che l’unico valore possibile sia quello che ci impongono lo stato, i mezzi di comunicazione di massa e i virologi televisivi, e cioè la sopravvivenza a tutti i costi di qualche anno (o di qualche mese) in più, si chiedesse ai vecchi se per caso sarebbero disponibili a rischiare di morire un po’ prima per evitare rischi ai bambini e ai giovani, e per vivere tutti un po’ più sereni. Può darsi che io non sia il solo.

di Aligi Taschera – Resistenza Radicale